VINITALY 2024: UN VIAGGIO TRA IDENTITà TERRITORIALI E SCIENZA ENOLOGICA

Si chiude con grande successo la 56^ edizione di Vinitaly, il prestigioso evento dedicato al mondo del vino, che ha registrato un’affluenza straordinaria con ben 97mila partecipanti.

Nel corso della 4 giorni veronese, una ricca e proficua attività di seminari, convegni e masterclass si è svolta nei vari padiglioni consentendo di esplorare in profondità le diverse sfaccettature della viticoltura italiana.

Tra queste “Jesi e Matelica: le anime del Verdicchio” organizzata dall’Istituto Marchigiano di tutela Vini che ha permesso di confrontate le produzioni dei due storici distretti del Verdicchio, valorizzandone peculiarità e differenze.

“Jesi e Matelica stanno affrontando un cambiamento generazionale – ha dichiarato il presidente dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, Michele Bernetti perché si punterà l’accento sempre più sul territorio anziché sul vitigno”.

A breve ci saranno infatti le variazioni sui disciplinari di produzione: per il Verdicchio di Matelica si renderà facoltativa la menzione del vitigno in etichetta, mentre per il Verdicchio dei Castelli di Jesi, si andrà ad accorpare in Docg anche la tipologia “superiore”.

Al centro della degustazione condotta dall’enologa Eleonora Marconi, quindi, una selezione di 12 vini, in rappresentanza di alcune tra le migliori produzioni del Verdicchio dei Castelli di Jesi e di Matelica, ambasciatori del grande vitigno autoctono marchigiano in cui la ricchezza dell’identità di un vitigno si fonde armoniosamente con la creatività enologica, seguendo la definizione di ‘territorio’ che abbraccia clima, vitigno, suolo e mano dell’uomo.

Ricco e articolato anche il programma degli eventi del padiglione Campania. Qui nell’ambito del Convegno “Federico II, 800 anni dal 1224 al 2024: il Vino tra passato e futuro” il prof. Luigi Moio ha incantato la platea con una lectio magistralis che il giornalista Luciano Pignataro, presente al tavolo dei relatori, ha immediatamente ribattezzato “non c’è vino senza scienza”.

Il convegno si è aperto con l’intervento di Luigi Frusciante, professore di Genetica Agraria dell’Università Federico II di Napoli, che ha tracciato la storia della facoltà napoletana voluta dal sovrano di Svevia.

La più antica università pubblica del mondo, che nacque a Napoli con lo scopo principale di assicurare ai sudditi la possibilità di studiare “in conspectu parentum suorum”, sotto lo sguardo dei propri familiari. Così, si sarebbero evitati lunghi e costosi viaggi in terre straniere.

Il prof. Frusciante ha parlato dell’importanza di questa università per il regno e poi per l’Italia e della nascita della Facoltà di Agraria e del corso di laurea in viticoltura ed enologia. “Fare vino è un atto agricolo, un progetto agricolo fortemente legato al territorio a cui servono delle basi forti di scienze agrarie” così ha esordito Luigi Moio, professore di Enologia presso la Federico II di Napoli e presidente dell’Organizzazione Internazionale del Vino e della Vigna.

Il suo intervento è stato un viaggio sulle grandi scoperte scientifiche che hanno consentito al vino di raggiungere la sua diversità e la sua peculiarità territoriale. Per lungo tempo, il vino è stato molto più di una semplice bevanda alcolica; è stato un elemento cruciale per la sopravvivenza umana.

Nei tempi antichi, quando le fonti di acqua potabile non erano sempre sicure o facilmente accessibili, il vino rappresentava spesso l’unica bevanda disponibile che non fosse contaminata da batteri o agenti patogeni.

Grazie al processo di fermentazione, il vino diventava una bevanda sicura da consumare, poiché l’alcol presente nel vino agiva come conservante naturale, uccidendo germi e batteri dannosi. Di conseguenza, il vino non solo soddisfaceva la sete, ma rappresentava anche una fonte di idratazione affidabile per molte comunità umane.

Dagli arabi e i primi trattati sulla distillazione, passando per Galileo Galilei e Lavoisier con i suoi studi sulla fermentazione alcolica e la legge di conservazione della massa, arrivando a Louis Pasteur e alla fermentazione alcolica provocata dai lieviti, il prof. Moio vuol dimostrare la necessità del rigore e dell’approccio scientifico per poter far fronte ai cambiamenti climatici e alle mutazioni di questa nostra epoca.

L’università ha un ruolo importante in tal senso. E per celebrare gli ottocento anni dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Luigi Moio, ha realizzato una cuvée commemorativa magnum di spumante brut selezionando le principali uve a bacca bianca della Campania: Fiano, Falanghina e Greco, prodotta in 3000 bottiglie, rigorosamente fuori commercio con in etichetta il logo degli Ottocento anni dell’ateneo.

Attraverso un’elegante allusione al numero otto, che richiama simbolicamente l’infinito, si intende sottolineare l’impegno senza fine di questo Ateneo. È un’associazione che va oltre il semplice numerare gli anni, ma si estende al concetto di continuità, perseveranza e dedizione che caratterizzano l’operato e la missione di questa istituzione nel tempo.

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